giovedì, luglio 20, 2006

LA STATUA DI CECCO AD ASCOLI PICENO

Il monumento a Cecco (1921) - situato ad Ascoli Piceno in Piazza Giacomo Matteotti - si deve alla generosità degli ascolani di New York: alto 3,40 mt., fu eseguito dallo scultore fiorentino Edoardo Cavilli e la fusione in bronzo fu fatta nella fonderia Bertolli a New York. L'idea della statua si deve al conte Fiocca-Novi che chiese aiuto agli ascolani della Grande Mela i quali non si fecero pregare. Il monumento, giunto ad Ascoli il novembre 1921, non fu mai inaugurato. Infatti, per la cerimonia ufficiale fu costituito un comitato presieduto dall'on.Luigi Dari, ma con la scusa che non si trovava un oratore all'altezza del compito, la data dello svelamento slittava di giorno in giorno (per colpa della Curia, si mormorava, che non vedeva di buon occhio l'esaltazione dell'eretico Cecco d'Ascoli). L'inghippo fu risolto da un gruppo di giovani ascolani che, la notte della vigilia di Natale, tolsero il telo che ricopriva la statua e non se ne parlò più.

CHI ERA CECCO D'ASCOLI

Francesco Stabili di Simeone, Cecco d'Ascoli, nacque ad Ascoli, come lui stesso dice «...quae me genuit ...» dopo il 1269 e morì a Firenze il 16 settembre 1327.
Accusato di errori contro la fede, gli furono tagliate le vene della fronte e fu messo al rogo.
Le notizie che si hanno sulla vita di Cecco sono poche e frammentarie, spesso autori e storici del passato ci hanno lasciato biografie arbitrarie e fantasiose che hanno alimentato il clima di mistero e confusione che gravita intorno alla vita di Cecco d'Ascoli .
Quello che appare certo e documentato è il periodo che va dal 1324 al 1327.
Nel 1324 insegnava alla facoltà di medicina in Bologna, in quello stesso anno, le sue lezioni sul 'commento alla Sfera del Sacrobosco' furono la causa della prima condanna che gli fu inflitta il 16 dicembre dello stesso anno. Lamberto da Cingoli, dell'ordine dei predicatori, viste le sue lezioni ed udita la testimonianza di alcuni suoi studenti, con i quali si intratteneva " in fine lectionis ", per aver parlato male e disordinatamente della fede cattolica, lo condannò alla confessione generale entro 15 giorni, di recitare ogni giorno 30 paternostri ed altrettante avemmarie, digiunare ogni sabato per un anno, ascoltare ogni domenica la predica nella chiesa dei frati minori.
Gli furono sequestrati tutti i libri di astrologia, venne privato di ogni incarico e della cattedra fino ad un termine indeterminato e fu condannato a pagare, entro la prossima Pasqua, 70 libbre di Bologna.
Il divieto di insegnamento venne sospeso nel 1325, in seguito alle pressioni di studenti e medici che avevano acclamato Cecco loro maestro. Venne promosso alla cattedra superiore e quindi ad insegnare, non più ai juniores, ma ai maiores ed ai medici.
Tenne alcune lezioni di fisiognomica ed un saggio sul modo di trovare l'ultimo termine delle progressioni crescenti o decrescenti di numero pari o dispari di termini, poi commentò il " De principiis astrologiae " di Alcabizio collegandola alla " Sfera " del Sacrobosco.
Cecco d'Ascoli in quel periodo conquistò fama e gloria, tanto che, il primogenito di Re Roberto, Carlo duca di Calabria, entrato in Firenze il 30 luglio 1326, lo nominò medico di corte.
I cronisti del tempo raccontano che avendogli il Duca richiesto dei pronostici sulla sua nipote, la futura Giovanna Regina di Napoli, che allora aveva appena due anni, Cecco pronosticò che sarebbe stata " proclive a libidine ".
Questo imprudente pronostico forse fu la causa della sua sciagura, come si legge in una anonima " Cronica fiorentina " alla rubrica 435:
" Uno maestro Cecco d'Ascoli, che fu sottilissimo uomo in astrologia, e dicesi che disse e dicea contro alla fede, ma mai non lo confessò. Ma pure il fece ardere per alcuna cosa che in suo libro scrisse delle cose che ....... (lacuna nel testo); ma dicesi che la cagione perchè fu arso, fu che disse che Madonna Giovanna, figliola del Duca, era nata in punto di dovere essere di lussuria disordinata. Di che parve questo essere sdegno al Duca, perchè non avrebbe voluto fosse morto un tanto uomo per un libro. E molti vogliono dire che era nimico di quel frate Minore Inquisitore e Arcivescovo di Cosenza, perchè i frati Minori erano molto suoi nimici. Di che il fece ardere il dì 16 di settembre 1327......"
Cecco d'Ascoli, rimase alla corte del Duca di Calabria, fino al 31 maggio 1327, dove compose la maggior parte del suo poema " L'Acerba ", mentre gli ultimi capitoli dell'opera furono scritti in carcere dal 17 luglio al 15 settembre 1327.
La visita del Duca all'Inquisitore, il processo sommario che ne seguì e l'immediata esecuzione, posero fine a Cecco ed al suo Poema.
L'Inquisitore Accursio confiscò tutti i beni che Cecco possedeva in Ascoli, Macerata e Firenze e ne riscosse la parte che gli spettava che furono otto lire di fiorini piccoli.
Dopo la morte, Cecco entrò in un alone di leggenda e di mistero; il divieto imposto dall'Inquisizione di leggerne e conservarne gli scritti, il fascino del proibito, indussero molti a trascriverne ed a diffonderne le Opere.
L'Acerba, incompiuta, in molte parti abbozzata, subì lo scempio dell'ignoranza di copisti e trascrittori, impreparati a comprendere e conoscere le innumerevoli fonti di pensiero, filosofico matematico e scientifico, che furono patrimonio della cultura di Cecco e che illuminano tutta la sua opera.
Il Dott. Prof. Achille Crespi uno dei più eminenti studiosi del pensiero e dell'opera di Cecco d'Ascoli, nella sua introduzione all'edizione dell'Acerba del 1927, pubblicata dalla casa editrice Giuseppe Cesari di Ascoli, alla quale rimando quanti desiderassero un maggiore approfondimento, meglio di me riassume la vita, il pensiero ed il dolore dell'uomo " Cecco d'Ascoli ":
" Povero poeta! Credeva nella sua astrologia, era medico di corte, era chiamato maestro, aveva provato forse le angoscie della povertà per comprar libri, e li studiava con zelo, e li divulgava dalla cattedra, convinto d'essere anch'egli sacerdote della grande idea unificatrice di ogni scienza e di ogni fede. Ed ora la sconsolata amarezza di avere inutilmente vissuto e sofferto, e la mortale passione di essersi fidato di allievi ed amici che tradivano lui, il fallito seguace della morte.
Egli poteva dire di sè quel che più tardi il Petrarca :
«Io vo pensando, e nel pensier mi assale --- Una pietà sì forte di me stesso»
La sentenza apocrifa dice che, interrogato su ogni capo d'accusa, rispondeva: « l'ho detto l'ho insegnato e lo credo». "

BENVENUTI!



Benvenuti nel blog ispirato alla figura di Cecco D'Ascoli

Non può morir chi al saver s'è dato,
Nè vive in povertate nè in difetto,
Nè da fortuna può essere dannato;
Ma questa vita e l'altro mondo perde
Chi del savere ha sempre dispetto
Perdendo il bene dello tempo verde.
Chi perde il tempo e virtù non acquista,
Com' più ci pensa, l'alma più sattrista.